Il principale editore italiano: Tu.
Pochi giorni fa ho pubblicato una ipotesi di mappa del mercato italiano, ma mi sono dimenticato del principale editore italiano. Ovvero dei 10.000 piccoli editori che vivono solo o principalmente di Google.
Facciamo prima due calcoli: dai bilanci di Google si evince che circa il 27%/30% dei ricavi viene fatto con adv erogato da siti esterni, ovvero quelli che inseriscono adsense.
Ipotizziamo che in Italia la stima dei ricavi di Google sia prudenzialmente di 250 mln di euro e ipotizziamo che anche qui sia divisa 70%-30% (Google- Editori).
Si presume che Google si trattenga una quota editore del 20%-30% e quindi io ipotizzo che Google distribuisca inItalia agli editori circa 56 milioni di euro. A chi vanno?
Alcuni grandi operatori (Virgilio e Libero) hanno un accordo con Google per la search e piu o meno sappiamo quanti soldi ci fanno. Altri operatori che fanno molto traffico (Msn, FB, Repubblica, RCS, etc) non hanno nessun rapporto con Google per precisa scelta.
Diciamo che verso i 2-3 grandi che hanno la search vanno circa 20 milioni, mentre il resto va a tutta la platea di editori medi, piccoli e piccolissimi.
Parliamo quindi di 30-35 milioni netti che Google porta a questi piccoli editori italiani. Per quelli un pò più grossi parliamo di 100k/200k annue (ma sono pochissimi), sino a calare ai 20k annue per i medi, per poi avere una media di siti semi-amatoriali che stanno sui 3k annui. E poi sotto gli amatoriali che magari neanche arrivano alla soglia per riscuotere l’assegno.
Io credo che in Italia possano essere anche 10.000 questi editori che esistono grazie a Google. Messi insieme sono il primo editore italiano per raccolta pubblicitaria.
Al di là delle cifre approssimate, la cosa rilevante è il grande e rapido fenomeno di questi anni: la tecnologia ha abbattuto le barriere all’ingresso, per cui oggi chiunque può essere un editore con un investimemento minimo. Google tende a sostenere questo modello a scapito dei grandi editori tradizionali. Una platea di microeditori è meglio, e quindi il traffico va a loro.
Questa grande operazione di democratizzazione (teorica) porta effetti devastanti sul mondo tradizionale dell’editoria (vedremo prossimamente quali, in un post dedicato) falciando centinaia e centinaia di posti di lavoro, e ricreandoli altrove.
Allora la domanda è : andiamo verso una vera democrazia dell’informazione o passiamo da oligopolio di pochi editori a monopolio di Google ?
Aggiungo una domanda: c’è dolo in Google News e nel modo in cui distribuisce le risorse, visto che “Una platea di microeditori è meglio, e quindi il traffico va a loro”? Se così fosse la meritocrazia sarebbe sacrificata nel nome del business. E’ così, dunque?
Come sempre ci sono più facce della stessa medaglia: se da un lato la tecnologia democratizza (abbastanza) e quindi aumenta le possibilità per l’editoria, cosa nella mia visione ultra positiva, una cosa non può certo farla, cioè garantire la qualità. E l’editoria di qualità costa.
Quindi, Google va bene, purchè non monopolista: il problema verò è infatti che nessuno sembra in grado di dare una risposta seria e concreta uguale o valida come quella di Google. Che non vuol dire concorrenza sulla coda medio lunga, ma capacità di attrarre investimenti sui siti medio grandi con idee alternative e valide.
@Giacomo: ma la supposta “meritocrazia” che verrebbe (e viene, secondo me!) sacrificata da Google per motivi di soldi, che meritocrazia sarebbe poi comunque? Vince comunque chi fa SEO meglio, alla faccia della “qualità”.
L’aspetto SEO potrebbe contare, ma ci sono anche altri parametri che, a mio avviso, Google potrebbe (volendo) valutare molto meglio.
L’analisi dei testi e delle tempistiche di pubblicazione, nonché la scelta degli argomenti trattati, l’approfondimento, l’uso di link, eccetera. Molti sono gli ingredienti che si potrebbero mettere nel calderone.
Volendo.
esatto.
invece, SEO selvaggio e se hai Adsense o no…
Interessantissimo, questo fà capire come il sistema pubblicitario di google sia fondamentale per sostenere lo sviluppo di un web “democratico”.
é curioso osservare come nessuno sia stato ancora in grado di fornire valide alternative a adsense.
per forza, gli unici che avrebbero potuto (MSFT) erano troppo intenti a cercare di comprarsi la parte search di Yahoo…
e adesso stiamo a vedere cosa succede…. http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/tecnologia/google-world-1/articoli-non-gratis/articoli-non-gratis.html?ref=hpspr1
Gibbo, cito l’articolo originale, mi sembra che Repubblica comunque ci abbia capito poco:
http://googlenewsblog.blogspot.com/2009/12/update-to-first-click-free.html
@Giuliastro: a dire il vero, anche dopo un rapido sondaggio telefonico con alcuni colleghi, mi sembra che siano in tanti quelli che, per ora, ci hanno capito poco…
Sulla notizia di Google: innanzi tutto mai leggere repubblica che fa solo casino e confonde le idee.
la questione è questa in sintesi: i siti come il WSJ hanno i contenuti pay. Se si arriva a certi contenuti dalla home si vede solo l’abstract. Ma se poi si prende il titolo del pezzo e lo si cerca su google, google lo trova e cliccando magicamente si vede il pezzo intero. In pratica il WSJ vuole che i suoi contenuti siano presenti in google interi per non perdere il traffico. Cosi la gente, che scema non è, ha imparato il giochino e tutti leggono i contenuti pay, a gratis usando google.
Allora google ha pensato di fornire agli editori il servizio che permette di monitorare questo utilizzo e di limitare a 5 articoli a sbafo max al giorno. Chiaro che la cosa piu saggia e razionale sarebbe per il WSJ avere pubblica SOLO la url preview e in seconda url solo per i loggati paganti l’articolo intero. Non si può infatti avere la botte piena e la moglie ubriaca.
ciao luca