Chi pagherà per i contenuti? Alcune idee.
Mentre Google sta preparando la piattaforma per permettere ai publisher di far pagare i contenuti, una indagine in UK dice che il 74% degli utenti, se il loro sito di news preferito mettesse i contenuti a pagamento, non pagherebbe per leggere le notizie. Piuttosto o passerebbero ad un nuovo sito o limiterebbero la loro lettura ai titoli gratuiti (8% degli intervistati).
Solo un 5% metterebbe mano alla carta di credito. La ricerca è stata condotta dalla Harris Interactive per conto della PaidContentUK (su panel rappresentativo di di 1188 adulti). I più propensi a pagare? Quelli tra 16-24 anni, l’upper class o coloro supportati da sussidi statali.
Un’altra analisi di KPMG (kpmg.co.uk) dimostra che la crisi ha determinato una contrazione del 28% nell’acquisto generale di giornali e riviste per favorire i contenuti online (free) e solo un 3% tornerebbe a spendere ai livelli precrisi (ovviamente al termine della crisi stessa).
Numeri che dimostrano una ovvietà: le persone non hanno particolarmente voglia di pagare le news che possono trovare più o meno altrove e gratis.
Esiste un qualche contenuto editoriale che possa indurre i lettori a desiderarlo talmente tanto da spendere i propri soldi? Alan Mutter – la sua biografia merita un’occhiata – disegna una mappa di “sweet” spots per individuare contenuti potenzialmente a pagamento. I contenuti pay andrebbero valutati secondo otto caratteristiche (la checklist è frutto della riflessione personale di Mutter). Eccole qua, qualcuna sembra abbastanza scontata, altre meno, combinate tra loro forniscono un interessante spunto di riflessione
Unicità: più la notizia è rara e più ha valore
Routine: la notizia è roba che il lettore può trovare ogni giorno su un media qualsiasi? Crolla il suo valore.
Tempo: più l’utilità di una notizia è legata al momento presente e più ha valore. Ovvero per averla al momento giusto sei disposto a comprarla
Business: la notizia aiuta qualcuno a far business? Aumenta il suo valore
Target: contenuto è tagliato su misura sugli interessi di un certo pubblico
Intrattenimento: pago per essere il primo a conoscere un contenuto audiovisivo di entertainment
Local: più la notizia è vicina a me, alla comunità a cui sento di appartenere, più sono disposto ad acquistarla
Shopping: l’informazione aiuta il lettore a risparmiare o effettuare un acquisto
Ciascuna di queste caratteristiche viene mappata da Mutter su una scala da 1 a 5, suddividendo le caratteristiche tra quelle più rilevanti per comunicazione B2B e per la B2C. L’area della comunicazione business è più ampia (con l’esempio concreto di wsj.com e i suoi abbonamenti cartaceo+web o web+mobile), per i consumatori lo spazio di manovra è più stretto. Sempre che gli 8 cristeri selezionati sia quelli giusti.
(post in collaborazione con Verena Alena Gioia)
Fonti :
Una volta chi forniva(sbattendosi per ore studiando e meditando come meglio presentarle) informazioni “utili” veniva premiato con un link e con l’avanzamento nella s.e.r.p. Oggi quel certo metodo di valutazione chiamato mi sembra algoritmo??? Che che se ne dica a dato prova di non funzionare più’.
Spero solo che questa folle proposta di pagare per i contenuti così da poter dare solo a chi puo’ permettersi le informazioni giuste e utili (vedi le merendine del mulino bxxnco che mia madre puntualmente non mi comprava perché costavano troppo e tanto quelle da mille lire al pacco era o uguali) non sia il disperato tentativo di mascherare la falla di un sistema che si e’ sempre professato come il messia….
M